
L’agricoltura è senza dubbio uno dei settori più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le situazioni di stress idrico, gli sbalzi termici repentini, le primavere siccitose e i casi di precipitazioni violente nei mesi estivi. In questo scenario di incertezza, la sperimentazione agronomica per la valutazione delle scelte varietali rappresenta uno strumento fondamentale per garantire stabilità produttiva, non soltanto per migliorare le rese, ma per assicurare continuità e qualità in condizioni sempre più variabili.
I risultati delle prove condotte in anni recenti dimostrano che la genetica è una leva strategica per l’adattamento al cambiamento climatico. Non esiste una varietà migliore in assoluto, ma più adatta a un determinato contesto produttivo, al tipo di suolo, alla disponibilità irrigua, a una specifica gestione aziendale e a un preciso obiettivo di mercato. L’innovazione genetica mette oggi a disposizione un ventaglio di opzioni notevole, ma la loro efficacia dipende dalla capacità di interpretare correttamente le interazioni tra pianta, suolo e clima. La sperimentazione serve proprio a trasformare la conoscenza scientifica in strumenti di decisione concreta, e permette inoltre di individuare linee varietali con caratteristiche specifiche valorizzabili da specifiche filiere alimentari e mangimistiche.
La scelta varietale si inserisce in un più ampio sistema di programmazione colturale: pianificare rotazioni, scegliere varietà con epoche di semina e raccolta differenziate, gestire l’irrigazione e la fertilità in funzione delle previsioni stagionali: sono tutte azioni che permettono di distribuire il rischio e ottimizzare le risorse. Ogni prova in campo diventa così una tessera di un mosaico più ampio, fatto di osservazione, confronto e adattamento continuo.
Le esperienze e gli esiti che emergono dai report tecnici dedicati ai confronti varietali — come quelli condotti annualmente sulle varietà vernine di cereali — confermano l’importanza di un approccio basato su dati pluriennali. Documenti di questo tipo mostrano infatti che:
Questi elementi, una volta integrati con i dati di campo e con le osservazioni degli agricoltori, permettono di costruire veri e propri modelli previsionali di scelta varietale, utili per programmare il futuro produttivo delle aziende agricole in un quadro climatico sempre più mutevole.
Nel corso degli anni la Fondazione Podere Pignatelli ha raccolto un ampio archivio di confronti varietali, in particolare su mais e soia, che costituiscono una vera e propria memoria operativa per capire come la genetica risponda ai cambiamenti ambientali, alle pratiche colturali e alle aspettative del mercato. Ogni anno dal 2019 Podere Pignatelli conduce prove dimostrative su una gamma di materiali genetici significativa – varietà o ibridi forniti dalle ditte sementiere – per confrontare le prestazioni in campo in condizioni reali.
In ciascuna annata il focus non è solamente sulle rese produttive ma anche sulla stabilità, l’adattabilità alle condizioni meteo-pedologiche locali, le caratteristiche qualitative come l’umidità al raccolto, il peso del seme, il tenore proteico o altri parametri che influenzano la vendibilità della granella.
La varietà genetica testata nel tempo è cresciuta, sia in numero che in differenziazione: aumentando le varietà e gli ibridi, espandendo la partecipazione delle ditte sementiere, integrando prove su aspetti colturali come densità, concimazione, concia e irrigazione, per verificare non solo quale varietà rende di più, ma come ciascuna rende in funzione delle scelte agronomiche che possono fare.
In un simile contesto, esiste un ruolo pe le varietà locali tradizionali? Le varietà di conservazione possono contribuire alla resilienza dei sistemi agricoli grazie alla loro origine locale e alla maggiore diversità genetica: da decenni sono adattate alle condizioni pedoclimatiche locali, mostrano maggiore resilienza a stress abiotici e permettono di approcciare sistemi agricoli a input minore, riducendo la dipendenza da concimi e fitofarmaci.
Alcune sperimentazioni sul territorio piemontese ne hanno valutato adattabilità, comportamento fenotipico e potenziale utilizzo in filiere specifiche, valorizzando anche il ruolo degli agricoltori custodi e della conservazione della biodiversità.
Il recupero di varietà di conservazione non è però privo di sfide, legate a rendimenti potenzialmente inferiori, poiché molte varietà tradizionali non sono state selezionate per massimizzare la resa in sistemi ad alto input, alla complessa gestione della semente e della moltiplicazione per mantenere la purezza genetica, e alla limitata domanda del mercato per varietà antiche o tradizionali, che, in assenza di filiere di valorizzazione ad hoc, rischia di limitare la capacità delle aziende di sostenere i costi necessari.
Integrare le varietà da conservazione nel portafoglio genetico aziendale, insieme a materiali più moderni, può essere una strategia vincente per aumentare la resilienza. La sperimentazione può valutare in campo quali varietà tradizionali funzionano meglio nel contesto locale, quali richiedono adattamenti gestionali e quali possono essere valorizzate in termini di qualità, di modo che tornare a varietà di conservazione non sia solamente una questione di nostalgia, ma una leva concreta per costruire sistemi agricoli più robusti, diversificati e sostenibili.
Fondazione Podere Pignatelli, 2025, Confronti varietali dei cereali vernini. Annata agricola 2024-2025.
Fondazione Podere Pignatelli, 2024, Confronto varietale di mais e soia. Annata agricola 2024.
Fondazione Podere Pignatelli, 2023, Confronto varietale di mais e soia. Annata agricola 2023.
Altri report sui confronti varietali a cura di Fondazione Podere Pignatelli sono disponibili online.
Per una panoramica sulle varietà locali tradizionali:
Progetto GERMONTE, Le varietà da conservazione di frumento, mais e specie orticole del Piemonte.
Foto di copertina: Coralie Meurice per Unsplash.