Lo scorso 9 Luglio si è tenuto il webinar “CSA – Comunità di Supporto all’Agricoltura. Coltivare Comunità, Nutrire il Futuro”, organizzato da IDEA in collaborazione con Engim ETS e con la partecipazione di Pietro Liotta, presidente della CSA Ciò Che Mangio e di Filippo Laguzzi dell’azienda agricola R.A.M.
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In un contesto di crisi climatica, erosione della biodiversità e insicurezza alimentare, le CSA (Comunità che Supportano l’Agricoltura) rappresentano un modello di produzione, distribuzione e consumo agroalimentare alternativo e sistemico, fondato su relazioni solidali tra produttori e cittadini. Una CSA è più di una semplice modalità di approvvigionamento alimentare, è un vero e proprio paradigma che sfida le logiche dell’agricoltura industriale.
Cos’è una CSA?
Una CSA è una comunità di persone che si assume collettivamente la responsabilità della produzione agricola condividendone i rischi, i benefici e, spesso, la gestione. Ogni esperienza di CSA è diversa e unica, ma tutte sono accomunate da alcuni aspetti chiave:
A differenza dei gruppi d’acquisto (GAS), cui spesso sono accomunate, le CSA non si limitano dunque all’acquisto diretto da agricoltori selezionati in base a criteri di etica sociale e ambientale, ma sono comunità di co-produzione a tutti gli effetti.
I pilastri fondativi
La filosofia delle Comunità di Supporto all’Agricoltura si fonda su quattro pilastri che ne ispirano l’operato e lo sviluppo:
Radici storiche del modello CSA
Prime tracce del modello CSA si ritrovano nel Giappone degli anni Sessanta, quando molte famiglie giapponesi decisero di ribellarsi all’agricoltura intensiva e all’uso massiccio di pesticidi. Trovarono un’alternativa nelle Teikei (relazione diretta), un modello di mutuo supporto tra cittadini e agricoltori, liberati finalmente dalla preoccupazione degli aspetti commerciali grazie alla previsione di un pagamento anticipato. Nacque in questo contesto un motto che è rimasto fino a oggi legato al modello delle CSA: il cibo ha la faccia di chi lo coltiva.
La realtà delle CSA (Community Supported Agriculture) si sviluppa maggiormente negli Stati Uniti degli anni ’80, quando l’industrializzazione estremamente spinta dell’agricoltura, unita alla crisi economica, portò alla chiusura di molte piccole aziende agricole. In parallelo, però, iniziò a svilupparsi una sensibilità per il tema della salute legata a un cibo “sicuro e pulito” e al rispetto dell’ambiente. Emergono modelli di CSA più completi e sviluppati: le quote stagionali pagate a monte compensano il produttore, e si condivide il rischio dell’annata agricola. All’ultimo “censimento”, nel 2017, le CSA negli USA erano circa 12.000, per un valore che si stima raggiunga i 17,5 miliardi di dollari.
In Europa la situazione è più frammentaria: in ciascun Paese il modello della CSA è stato adattato rispetto alle diverse tradizioni ed esigenze. In Italia, le prime esperienze strutturate risalgono agli anni 2000, ma il termine CSA comincia a circolare ampiamente solo dal 2013, con la nascita di realtà più consolidate e l’avvio di reti regionali e nazionali. La bolognese Arvaia, nata proprio nel 2013, ha rappresentato un modello per molte delle CSA italiane, anche grazie a un esteso lavoro di diffusione e disseminazione della propria esperienza sul territorio nazionale.
In conclusione…
Le Comunità di Supporto all’Agricoltura rappresentano un modello radicale di alleanza tra cittadinanza attiva e mondo agricolo, in grado di generare beni comuni, salute, resilienza e giustizia ecologica. In primo luogo, garantiscono l’accesso a un cibo di alta qualità, fatto di prodotti freschi, locali e di stagione, coltivati al di fuori delle logiche della filiera industriale. Questo modello sostiene direttamente i piccoli agricoltori, rendendo la loro attività più sostenibile dal punto di vista economico, sociale ed ecologico, alleviando le pressioni di mercato. Infine, le CSA rivestono un importante ruolo nel rafforzamento della partecipazione comunitaria: i soci, non semplici clienti ma attori coinvolti direttamente nelle decisioni, maturano maggiore consapevolezza alimentare e rafforzano i legami sociali attraverso un rapporto diretto e continuo con la terra e chi la coltiva.
Non si tratta solo di produrre cibo, ma di costruire nuove forme di convivenza capaci di affrontare la complessità della crisi socio-ecologica.
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